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Art in Tuscany

Duccio di Boninsegna, Maestà del Louvre, 1280 circa, tempera su tavola, 424 × 276 cm, Louvre, Parigi

N L Cimabue, Maestà del Louvre, 1280 circa, tempera su tavola, 424 × 276 cm, Louvre, Parigi [1]


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Cimabue, Maestà del Louvre, 1280 circa

   
   

La Maestà del Louvre è un'opera a tempera e oro su tavola di Cimabue, databile attorno al 1289 e conservata al Louvre di Parigi.

Storia

Il dipinto, che si trovava nella chiesa di San Francesco a Pisa (dove lo videro Antonio Billi, l'Anonimo Magliabechiano e Giorgio Vasari), venne trasportato a Parigi nel 1812, durante l'occupazione napoleonica da Jean Baptiste Henraux, su interessamento diretto dell'allora direttore del Museo Napoleone, particolarmente desideroso di implementare le raccolte di pittura "primitiva" italiana. Fu oggetto delle spoliazioni napoleoniche. Dal 1814 fu esposta al Louvre. Dopo le restituzioni la grande tavola fece parte di quei circa 250 dipinti che rimasero in Francia.

La storia della Maestà del Louvre, 1280 circa



Maestą del Louvre, dettaglio del volto della Vergine.jpg

Cimabue, Maestà del Louvre (dettaglio del volto della Vergine), 1280 circa, tempera su tavola, 424 × 276 cm, Louvre, Parigi [2]


Descrizione

Maria sta seduta in trono avvolta in un fasciante manto blu caratterizzato da numerose pieghettine a sottosquadri. Poggia fiaccamente la mano destra sulla gamba del bambino, mentre lo cinge con l'altra, infilando le lunghe dita affusolate nella sua veste e alzando il ginocchio destro per sostenerne la figura. Il volto di Maria pare estraneo a quel misto di serenità e dolcezza delle successive Maestà di Cimabue.

Gesù Bambino è in grembo alla madre, raffigurato come un piccolo filosofo vestito togato all'antica[3], con il rotolo delle Sacre scritture saldamente in una mano (un chiaro elemento di matrice orientale che rivela l'origine bizantina del modello) e facendo il segno della benedizione con l'altro, come fosse un adulto. Nella composizione ci sono sei angeli a figura piena ed ali dispiegate, che accarezzano il trono e disposti uno sopra l'altro, dando il senso di scansione spaziale. Sullo sfondo domina un fondo oro.

I sei angeli hanno disposizioni e colorazioni simmetriche ed ali dispiegate, con penne brune sulle parti superiori delle ali e colorate nella parte inferiore. I loro volti sono scuri, seriosi, quasi imbronciati, facendo eco alla stessa aria mesta del volto della Vergine. Gli angeli sono icona del Paradiso e sono vestiti all'antica.

Il trono ligneo ha una decorazione complessa che lo fa apparire come assemblato da vimini piuttosto che da assi solide. È pieno di intagli, torniture, ageminature, trafori, sagomature, piroli, che nel loro sovrapporsi e moltiplicarsi creano un congegno di un'eccezionale complessità. Inoltre ha una prospettiva latero-frontale per fare in modo che la parte anteriore sia vista lateralmente. Quanto al significato simbolico, il trono rappresenta la Chiesa.

Appaiono curati tutti i dettagli, non solo la decorazione del trono, ma anche la pieghettatura della veste di Maria, del bambino, degli angeli e perfino le penne delle loro ali. I chiaroscuri degli incarnati sono modulati.

La pala è incorniciata da un nastro di fitte decorazioni fitomorfe, intervallato da ventisei tondi bordati d'oro, con busti di Cristo (in cima), di quattro angeli (nella cimasa), dei quattro evangelisti (nei quattro angoli) dei dodici apostoli (ai lati) e di cinque santi (nel bordo inferiore).

 

Maestą del Louvre, dettaglio del Bambino.jpg

Cimabue, Maestà del Louvre (dettaglio del Bambino), 1280 circa, tempera su tavola, 424 × 276 cm, Louvre, Parigi [2]


Stile

Il trono ligneo in tralice è intenzionalmente collocato nelle tre dimensioni, secondo i canoni della prospettiva inversa (dove le linee divergono anziché convergere verso l'infinito). Gli angeli, benché più piccoli della Vergine al centro, hanno dimensioni congrue con le due figure centrali. Pur con questi accorgimenti, la profondità prospettica rimane comunque limitata. Il trono è poco profondo. I gradini in primo piano seguono una prospettiva frontale ribaltata, che suscita un certo senso di instabilità e piattezza.

Inoltre si ha come l'impressione che gli angeli siano impilati uno sopra l'altro piuttosto che uno dietro l'altro. Permane anche il problema della simmetria ripetitiva degli angeli e della monotonia delle loro posture, con le teste reclinate talvolta a destra, talvolta a sinistra, talvolta diritte, ma con una rappresentazione invariabilmente “a tre quarti”. Appaiono disposti ritmicamente attorno alla divinità secondo precisi schemi di simmetria, senza un interesse verso la loro disposizione illusoria nello spazio: levitano infatti l'uno sopra l'altro (non l'uno "dietro" l'altro).

I volti appaiono realistici per un'opera di quegli anni, anche se i lineamenti rimangono ancora spigolosi (vedi ad esempio i due spigoli a delimitare la canna del naso e la forcella nel punto in cui questa si salda alla fronte, entrambi retaggi bizantini). Spicca la straordinaria qualità dei chiaroscuri: l'incarnato è dipinto con una serie di filamenti, paralleli e concentrici, che appaiono larghi e sfumati e sembrano sovente intersecarsi tra di loro, come a realizzare una sottile ed appena percettibile peluria. Questa trama di pennellate sottili e sfumate ha la capacità di modulare i chiaroscuri lungo il volto, di modulare il passaggio dalle zone di luce a quelle di ombra in maniera graduale e sfumata, anziché brusca.

Molto fine è il modo con cui i panneggi avvolgono il corpo delle figure, soprattutto della Madonna, che crea un realistico volume fisico. Non vi è usata l'agemina (le striature dorate).

Cimabue con quest'opera stabilì un nuovo canone per l'iconografia tradizionale della Madonna col Bambino, con il quale si dovettero confrontare i pittori successivi: la Maestà è il modello più diretto per la Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna, già in Santa Maria Novella e oggi agli Uffizi (con un trono analogo, e con una cornice con testine di santi quasi identica), che i documenti ci dicono essere realizzata pochi anni dopo, nel 1285.



Maestà del Louvre, dettaglio dell'Angelo e del trono.jpg

Cimabue, Maestà del Louvre (dettaglio dell'Angelo e del trono), 1280 circa, tempera su tavola, 424 × 276 cm, Louvre, Parigi [2]


Datazione

La Maestà è collocata temporalmente intorno al 1280[2]. Al fine di datare la tavola si sono confrontati soprattutto il volto di Maria con quelli delle simili Maestà, delle tavole con la Madonna e il Bambino e dei crocifissi (in quest'ultimo caso Maria è raffigurata dolente sulla sinistra della croce)[2]. Il volto di Maria in questa Maestà non ha più quella spaccatura profonda, a forma di cuneo, nel punto in cui il sopracciglio incontra la radice del naso, che è considerato un tratto bizantino arcaicizzante e che troviamo nella Vergine dolente sia del Crocifisso di San Domenico ad Arezzo (1270 circa) che del Crocifisso di Santa Croce (di poco anteriore al 1280).


Maestà del Louvre, sulla datazione dell'opera

 

 

   
   
 
   

Site officiel du musée du Louvre | www.louvre.fr

 

Bibliografia

Stefano Zuffi, Il Quattrocento, Electa, Milano 2004. ISBN 8837023154

Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.

Eugenio Battisti, Cimabue, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1963.

Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975. ISBN non esistente

Luciano Bellosi, Cimabue, Milano, Federico Motta Editore, 2004. ISBN 88-7179-452-4



[1] Quest'opera è nel pubblico dominio. Fonte: Traveling in Tuscany, tratta da Picasa Web Albums.
[2] Fonte: foto di Fabrizio Chiti, licenziato in base ai termini della licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
[3] Gesù Bambino, rappresentato come filosofo, è Figlio di Maria che, tra i suoi appellativi, ha quello di Sedes sapientiae ("Sede della sapienza"). Maria è sollevata da terra, luogo della contaminazione peccaminosa, ed è misura dell'umanità: Ella è al centro di tutt


 

 



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Questo articolo è basato parzialmente sull'articolo Maestà del Louvre dell' enciclopedia Wikipedia ed è rilasciato sotto i termini della GNU Free Documentation License.